DIBATTITO CISERANO FEMMINICIDIO INTERVENTO DI ENRICO FLAVIO GIANGRECO GIORNALISTA

04.10.2013 00:00
Enrico Flavio Giangreco, giornalista.
Il verificarsi di casi di femminicidio deve fare i conti con una narrazione inadeguata.
"Delitto passionale, è stato un raptus, l'amava moltissimo ma l'ha massacrata" sono tutte manifestazioni
di un racconto incapace di esprimere la condivisione di un dolore, che si ferma all'approccio del mestierante
e con la scusa della distanza emotiva scantona nel cinismo. Ma, d'altronde, queste parole sbagliate non sono altro che
l'espressione di una sottocultura machista, che trova le sue radici in un malinteso dualismo nietzschiano per il quale
l'uomo è il guerriero e la donna l'angelo del focolare domestico, una sorta di nume tutelare di una condizione di debolezza.
La pari dignità, invece, passa da un verificare le differenze che hanno, appunto, pari valore: se ciò accadrà, sui media non
emergerà più un'iconografia sbagliata delle immagini delle vittime, sbattute in pasto alla curiosità degli esseri affetti da sindrome
del guardone, mentre non si mostrano i carnefici; se ciò accadrà non si narreranno, soltanto, gli epiloghi delle storie, ma tutto
quello che prelude a questi tristi conclusioni. E, magari, si racconteranno, anche le storie di coloro che ce l'hanno fatta, di quelle
donne che sono uscite dalla spirale della violenza, aiutate da qualcuno che non si è girato dall'altra parte.
Il titolo di un film recitava "Le parole che non ti ho detto" mentre, in questo caso, si tratta delle parole che abbiamo detto e scritto.
Parole sbagliate. Sbagliate come quelle che si raccontano nelle redazioni: "tette e culi in copertina", "le tre s, sangue, sesso e soldi" e
"bad news is good news" ovvero "le cattive notizie sono le buone notizie". 
In conclusione, per fare la nostra parte di operatori dell'informazione, sarebbe bene rammentare il titolo di un romanzo di Roberto
Vecchioni pubblicato da Einaudi: "Le parole non le portano le cicogne". La protagonista di quel romanzo, una ragazza, Vera, di nome
e di fatto, in conclusione scoprirà, appunto, che le parole sono espressione di quello che abbiamo amato e odiato, di quello che ci hanno
insegnato e che abbiamo ignorato, del nostro passato e delle sue sfumature. E imparerà a usarle meglio, come dovremmo fare noi tutti.